È spaventoso ma affascinante, questo mondo momentaneamente senza di noi”. Alan Weisman, giornalista e scrittore americano, all’ipotesi di una Terra improvvisamente libera dagli esseri umani dedicò nel 2003 un libro diventato un best seller internazionale: Il mondo senza di noi, appunto. Ora, anche lui in lockdown, guarda dagli schermi di tv e computer, città e strade deserte, piante a animali che si riappropriano di spazi una volta occupati da loro.
Che impressione le fa questo mondo spopolato dal coronavirus?
“Sono tempi spaventosi. La maggior parte delle cose che ci piace fare e molte delle persone a cui vogliano bene sono a rischio. Ma allo stesso tempo tanti mi scrivono per dirmi: “Che grande quiete in questi giorni”. L’acqua dei canali di Venezia che torna limpida, lo smog che scompare dai cieli delle grandi città: le persone apprezzano questo ritorno della natura. Anche se hanno paura, colgono che c’è qualcosa di bello. E io provo la stessa cosa”.
Quando ha scritto “Il mondo senza di noi” immaginava che avrebbe assistito a qualcosa del genere?
“Non l’avrei mai detto. Ma in questo la pandemia ha una forte analogia con il cambiamento climatico: sappiamo che accadrà ma siamo convinti che non riguarderà noi. Durante le mie ricerche per scrivere Il mondo senza di noi e il successivo Conto alla rovescia (dedicato all’esplosione demografica degli esseri umani, ndr), chiedevo agli epidemiologi: è possibile il verificarsi di una pandemia? Loro rispondevano: non è possibile, è inevitabile. Eppure eravamo convinti che non sarebbe accaduto a noi. Stessa cosa per il cambiamento climatico: me ne occupo dagli anni Ottanta, ma solo negli ultimi tempi c’è stata una accelerazione nella percezione della crisi, perché si sono moltiplicati i segnali. Altrimenti avremmo continuato a pensare che il riscaldamento globale avrebbe riguardato non noi ma chissà quale delle generazioni future. E così, tornando alla pandemia, pur avendone scritto, neppure io pensavo che vi avrei assistito nel corso della mia vita”.
Per quali cause il mondo potrebbe davvero restare senza di noi?
“In effetti, secondo gli esperti un pandemia resta la causa più probabile. E tuttavia gli epidemiologi spiegano che un virus difficilmente riuscirebbe a eliminarci tutti, perché si acquisisce l’immunità, o perché il virus stesso può mutare e diventare meno letale. È successo in passato, per esempio con la Spagnola del 1918. Tuttavia, mai prima di oggi un virus aveva avuto a disposizione una popolazione umana così numerosa e così interconnessa, un ambiente perfetto per una pandemia”.
Però l’idea de “Il mondo senza di noi” nacque da un disastro atomico, quello di Chernobyl.
“Sì, nel 1994 scrissi per Harper’s Magazine uno dei primi reportage dall’area del reattore, raccontando come la natura si stesse riprendendo ciò che gli umani avevano abbandonato. Non che mi augurassi altre Chernobyl ovunque, ma cominciai a chiedermi cosa sarebbe successo alla Terra se gli esseri umani fossero improvvisamente scomparsi”.
Alla luce della pandemia, ha senso immaginare il nostro Pianeta come un organismo vivente che cerca di liberarsi di quelle specie che si rivelano dannose?
“Non è necessario immaginare la Terra come un essere vivente cosciente: la natura cerca continuamente di correggere i grandi squilibri che si vengono a creare. Né penso che la nostra specie sia una sorta di parassita da eliminare. Però siamo diventati troppi: la medicina che permette di vivere più a lungo o di salvare tanti bambini è certamente una buona cosa, così come lo è il produrre cibo per sfamare chi non ne ha. Ma ora ci troviamo di fronte alle conseguenze di tutto questo: usiamo metà della superficie terrestre per produrre cibo per noi. E così portiamo verso l’estinzione tante altre specie”.
Questa volta impareremo la lezione? La impareranno i politici?
“Lo spero. Ma purtroppo quando c’è una crisi globale la prima cosa a cui si assiste è l’ascesa dei demagoghi che sfruttano le paure della gente. A cominciare dal presidente del mio Paese, che è molto ignorante e scaltro, sa come sfruttare le preoccupazioni degli americani. Dunque non vedo ottimi segnali da parte della politica. Ma spero che dopo questa esperienza le persone capiscano e votino politici capaci di imparare la lezione: stiamo attraversando una crisi esistenziale, non tanto per il coronavirus, quanto per il riscaldamento globale”.
E però tra i politici c’è già chi chiede di abbandonare i costosi progetti di decarbonizzazione per far ripartire l’economia messa in ginocchio dalla pandemia. Come se ne esce?
“È un tema cruciale. Oggi c’è chi, come Trump, dice: usiamo i combustibili fossili perché è il sistema più rapido per produrre energia e uscire dalla crisi. Ma questo apparente vantaggio immediato si tradurrà in costi enormemente maggiori con l’aggravarsi del cambiamento climatico. La sfida dunque è tra politici saggi che danno ascolto agli scienziati e cattivi politici che rimandano la soluzione dei problemi alle generazioni future”.