Dopo le riflessioni per il Giovedì Santo, prima giornata del triduo pasquale, oggi vi proponiamo quelle dedicate da mons. Gabriele Filippini al Venerdì Santo.
In questo giorno i cristiani commemorano la passione e la crocifissione di Gesù Cristo. Non si celebra l’eucaristia. Solitamente, in ogni parrocchia si effettua la Via Crucis o più in generale la processione devozionale con il crocifisso.
Oggi è il Venerdì Santo. La Chiesa in tutto il mondo con tenerissimo amore fa memoria della morte del suo Signore. E mette la croce al centro dell’attenzione. Quest’anno, a causa delle disposizioni di legge per vincere la pandemia, non si potrà andare in chiesa per il bacio al crocefisso. Tanto meno partecipare, là dove questa tradizione è rimasta viva, alla processione per le vie del proprio paese con il Cristo morto.
Questo è un anno dove vedremo la croce dagli schermi dei televisori o dei tablet, computer, palmari… Forse qualcuno non avrà nemmeno voglia di contemplare la croce. Gli basta quella che ha piantato nel proprio cuore.
Ma è proprio questo il punto su cui dobbiamo riflettere. La croce non è una cosa bella, da desiderare, da cercare. La croce era una fra le morti più dolorose che si poteva infliggere a coloro che erano condannati a una pena capitale. Gli esperti dicono che il dolore fisico provato dal crocifisso è fra i più lancinanti e insopportabili. E Gesù ha vissuto questo dolore. Ma ha provato anche un altro dolore lancinante, quello dell’anima: sulla croce oltre che solo e abbandonato da tutti era deriso, schernito, umiliato.
Perch Dio ha scelto questo modo per raccontare il suo amore all’umanità? Potremmo spiegarcelo, più che con la teologia, con una bella pagina della letteratura del Novecento: il romanzo del tedesco Luis De Wohl «La lancia di Longino». Lo scrittore immagina che il centurione romano, dopo aver trafitto il cuore di Cristo con la sua lancia, si interroghi sulla morte di quell’uomo. Comincia a credere che sia Dio. E allora si chiede perché Dio muore così, lui che può tutto, lui che avrebbe potuto scendere dalla croce. E conclude osservando che Dio soffre e muore in croce perché l’uomo, nella sua superbia, non possa dire a Dio: che vuoi da me Tu? «Sai fare tante cose ma c’è una cosa che io posso fare e Tu no: soffrire e morire». Questo vuole dirci la croce: anche Dio condivide il morire e il soffrire dell’uomo. E anche per Lui al momento della morte «si fece buio su tutta la terra».
Ed è lo stesso buio di questi giorni: noi soffriamo nella situazione che è venuta a crearsi: soffriamo per chi muore, per chi è malato, per chi fatica per offrire cure, guarigione, sollievo. Soffriamo per la crisi economica che la pandemia ha creato. E non solo crisi economica e sanitaria, ma anche sociale e esistenziale.
Ma ai piedi della croce c’è una donna che ama. È Maria, la madre di Gesù. Come non pensare oggi ai tanti Stabat Mater della musica italiana? Lei rimane sotto la croce. Impotente, incapace di fare qualcosa, ma rimane. Questo è l’amore che non ci fa scappare dalle situazioni difficili e angosciose.
Quante mamme e quanti papà hanno fatto questa scelta restando a casa con figli non sempre facili da gestire? Sono come Maria. Addolciscono il buio del Venerdì Santo. Con l’amore quel buio non ci fa più paura.