16 febbraio 2020: una domenica di sole come tante resa speciale da un ospite d’onore a pranzo: Gianfranco Pace direttore tecnico dell’ITKA. Il Maestro, era arrivato in Toscana per fare un seminario e, finalmente, una volta terminati gli impegni lavorativi, si è potuto trattenere con noi a chiaccherare.
La sua capacità e la sua abilità mi hanno affascinata da sempre, ma non c’era mai stata l’occasione di entrare nel dettaglio, ascoltare la storia della sua vita, delle sue origini, e di quella passione, il Taijiquan, diventata poi, il suo lavoro.
Messa da parte la timidezza iniziale, ho iniziato a porre le prime domande finchè, esse, si sono trasformate in capitoli che si snodano tra l’esperienza personale di insegnamento del Maestro e indicazioni per continuare o cominciare la pratica delle Arti Marziali in modo sano e corretto facendo emergere elementi utili ed essenziali alla comprensione della filosofia orientale.
Maestro Pace, com’è nata la tua passione per le arti marziali e come si è trasformata nel tempo?
La mia passione ha origini lontane. Sono nato e cresciuto in Sicilia. Mio papà lavorava nell’edilizia e i pomeriggi di pioggia, quando non doveva andare al lavoro, per passare del tempo con me, mi accompagnava al cinema. All’epoca, in sala, proiettavano due film, uno di seguito all’altro e quasi sempre vecchie pellicole che trattavano Kung fu. Ero un ragazzino e quel mondo mi affascinava. Volevo diventare come i protagonisti di quei film e iniziai a cercare una scuola in cui insegnassero Arti Marziali.
La trovai a Catania. La disciplina trattata era il Kung fu. Mi piaceva, era comunque un modo per avvicinarmi al mondo marziale, anche se, in realtà, la mia aspirazione era un’altra. Era incredibile, infondo non l’avevo mai praticato, ma sentivo di essere totalmente affine al Taijiquan. La sua teoria mi coinvolgeva totalmente: “il morbido vince sul duro e la vera forza nasce dal rilassamento.”
Me ne innamorai totalmente e grazie alla scuola di Kung fu che frequentavo da otto – nove mesi conobbi il mio primo e unico Maestro di Taijiquan, Shi Ronghua, che inizialmente non voleva che diventassi un suo allievo, perchè lui non voleva insegnare. Potrei scrivere un libro su tutto questo, e non è detto che un giorno non lo farò. Ancora sorrido se penso che in modo rocambolesco sono riuscito a convincerlo. Comunque non fu facile, nemmeno dopo che ebbe acconsentito. Se ci ripenso, mi sembra quasi un film: ci allenavamo nel piazzale retrostante il ristorante cinese di sua sorella. Era lontano da casa mia, partivo la mattina presto, mi allenavo tutto il giorno, e tornavo a casa a sera inoltrata. Cercavo di praticare tutti i giorni, conciliando gli impegni di studio e quelli famigliari. Ormai sentivo il mio Maestro e sua sorella come una seconda casa, tanto che rimanevo, ogni volta che ne avevano bisogno, a dare una mano come cameriere nel loro ristorante. Da quel momento, non ho mai smesso di praticare. Sono stato il primo italiano ad essere ospitato in Cina a Chenjiagou, villaggio della famiglia Chen, dove storicamente si dice sia nato il Taijiquan. Ho sempre studiato con dedizione, mi sono allenato, ho approfondito tecniche e dettagli. Negli anni ho incontrato, conosciuto, condiviso forme e pratica, con Maestri riconosciuti e famosi, presto però mi fu chiaro che la mia dedizione e i miei sforzi nella comprensione, nel tempo, avrebbero fatto la differenza.
Quando si parla di arti marziali interne, si pensa al Taijiquan. Perché?
La risposta a questa domanda è molto articolata. Io credo fermamente che sia necessario ricercare una nuova coscienza di movimento che sviluppi una diversa comprensione delle nostre potenzialità, dove spirito mente e corpo si fondano fino a creare una nuova consapevolezza.
Anche nelle arti marziali interne come in quelle esterne le forme rappresentano il banco primario di studio ma se si rimane soltanto all’aspetto formale non si potranno scoprire le meraviglie del Taijiquan.
Hai due figli, Perla e Gabriel, loro hanno seguito le tue orme?
No, nessuno dei due. Mia figlia pratica danza classica. E’ una bellissima ragazza di 14 anni. Non ha seguito le mie orme, ma sicuramente possiede la mia stessa intenzione. Ha tanto talento e non lo dico perché è mia figlia. Non solo…ha anche tanta determinazione che, sono certo, le permetterà di raggiungere traguardi importanti nella vita. Aveva solo 10 anni quando ha partecipato a un’audizione per entrare in una prestigiosa accademia di danza in Germania. L’ha vinta ed è partita. Dopo tre anni di studio, da febbraio del 2019, si è trasferita ad Amsterdam presso un’altra accademia di danza. La sua caparbietà mi sorprende ogni giorno. Anche se è molto giovane è già una donna ed è molto forte. Mio figlio, Gabriel, è un po’ più piccolo. Ha praticato, qualche volta, con alcuni dei miei allievi ma non sembra che sia la sua strada. Lui pensa alla scuola, ai suoi amici, alle sue passioni e non si è ancora dedicato in modo particolare a uno sport specifico. E’ ancora molto giovane, si guarderà intorno con i suoi tempi e sceglierà la via migliore da percorrere. In qualunque caso, come stiamo facendo per sua sorella, io e mia moglie lo supporteremo e gli cammineremo accanto. E’ un bravo ragazzo, io e lui abbiamo tanta affinità, percepisco la stima che ha nei miei confronti, sento di essere un esempio per lui, come d’altronde lo sono i miei “bambini” loro per me. Sono molto orgoglioso dei miei figli.
Cos’è il Taijiquan? Che difficoltà si incontrano nel trasmetterlo ai tuoi allievi?
E’ una filosofia, un’idea, uno stile di vita… è vita. La difficoltà maggiore è trovare il metodo giusto per spiegare questa disciplina. Devi sentirla tua, intrinseca dentro te stesso per poterla tramandare in maniera giusta e sincera. I miei allievi dicono che la mia peculiarità stia nella capacità di spiegare, proprio perché lo sento realmente, ciò che pratico e i principi fondamentali di quest’arte cinese, con termini e immagini comprensibili a noi occidentali. Per molte persone il percorso di avvicinamento al Taijiiquan parte dalla teoria per cimentarsi poi nella pratica, mentre io ho onestamente seguito la strada inversa (prima ho praticato poi ho studiato) e mi sono trovato così a dare dei nomi concreti a quelle forme e sensazioni che sentivo già mie.
Il Taijiquan, quindi, dona benefici a 360°?
Si, assolutamente. I praticanti, con intenzione e costanza, ne traggono benefici fisici, mentali e psicologici. Ma, sono certo che, quest’arte, influisca in maniera positiva anche sul nostro carattere. Per ottenere delle trasformazioni reali e concrete è necessario praticare con grande sincerità.
Come si possono coniugare gli aspetti tradizionali, salutistici e sportivi del Taijiquan?
Il Taijiquan è un’arte marziale che si basa su una chiara filosofia, questa può essere applicata ad ogni cosa, gesti, pensieri, alla cura di sé ed anche al combattimento. Quello che posso sinceramente dirti è una meravigliosa enorme ricchezza per l’umanità.
L’ITKA, la scuola che tu hai fondato, ha un metodo ben strutturato, in grande espansione sia in Italia ma anche a livello internazionale. Quali sono i suoi obiettivi?
L’ITKA è una scuola che propone lo stile Chen di Taijiquan attraverso cinque diversi programmi di studio, o meglio cinque aree di interesse in base appunto all’interesse e alle motivazioni per cui ogni praticante si avvicina ad esso. Negli anni è diventata una scuola molto conosciuta in cui si lavora sodo e si pratica tanto. Si è guadagnata il rispetto di molte scuole e allievi per questo tante persone vengono a studiare alla Sede Centrale ITKA e questo ci onora e gratifica. Sono orgoglioso dell’ITKA, delle scuole e dei maestri che ne fanno parte. Ciò che hai detto poco fa è corretto. La nostra scuola è in continua espansione ed è possibile trovare il metodo di studio ITKA in molti paesi del mondo. I miei obiettivi per il futuro sono semplicemente crescere su tutti i fronti. Nella mia personale pratica, nel livello di abilità dei miei studenti, e come scuola. Come dico spesso, è tutto una grande ed entusiasmante avventura e sono felice di avere tanti fedeli compagni di viaggio.
Sara Ferranti