Michele Grassi “Tra Cucina e Taoismo” l’Executive Chef Maestro di Taijiquan

Ho conosciuto Michele ad un pranzo in cui erano presenti diversi Maestri di Arti Marziali tra cui anche il mio compagno Alessio, lui stesso un Maestro. Abbiamo parlato per diverso tempo quando, improvvisamente, mi sono resa conto che Michele era l’unico al tavolo ad essere Maestro “part time”. Per tutti gli altri, invece, le arti marziali erano, oltre che una passione, la loro occupazione a tempo pieno. Michele invece di passione ne aveva tanta che portava a pari passo con il suo lavoro che non è di certo cosetta da poco: l’ Executive Chef!

Scusa Michele, ma se ho capito bene tu qui sei l’unico che non svolge a tempo pieno il “lavoro” di Maestro? Come fai a far conciliare queste due Arti così impegnative?

Non sei  la prima che me lo chiede Sara ed io onestamente non so come rispondere se non con una sola parola: PASSIONE! Veramente non penso si possa fare tutto questo senza una spinta forte che viene dal profondo.

Facciamo un bel passo indietro: come hai iniziato a cucinare? Avevi sempre avuto la passione per la cucina?
In realtà la passione è arrivata dopo. La verità è che volevo essere indipendente e mantenermi da solo. Ero poco più che un ragazzino, non avevo tante scelte e, per me che da sempre ho ricercato l’autonomia economica, l’unica alternativa per guadagnare tanto e subito era lavorare nella ristorazione. Pensa che ho iniziato a lavorare nelle cucine a 12 anni!


Mentre le arti marziali quando sono arrivate?
Mi sono avvicinato al Taiji da grande a 35 anni perché prima praticavo Judo agonistico e quando mi sono accorto di essere diventato troppo “anziano” per competere in modo agonistico, mi è crollato il mondo addosso. Avevo investito tanto in quello sport che amavo alla follia e alla fine mi sono ritrovato tra le mani un contenitore vuoto. Non ho mai creduto che la colpa sia del Judo in sé ma del “Sistema Judo” italiano che , focalizzandosi solo sulla parte agonistica, non consente uno studio più interno, tale da poterne fruire anche fuori dall’ambito delle gare, diciamo che veniva insegnato spoglio della parte filosofica e anche salutistica che mi avrebbe permesso di proseguire il Do “la Via”, così come da tradizione invece viene tramandato.

Tu eri un agonista nel Judo quindi?
 Si ho partecipato anche a due finali nazionali Italiane perché, senza falsa modestia, ero abbastanza bravino. Poi però crescendo ho dovuto scegliere se continuare a fare Judo a livello professionistico o andare a lavorare ma mio padre non aveva le possibilità economiche per mantenermi mentre mi dedicavo allo sport. Nel frattempo arrivò un’occasione che non potevo rifiutare: fui contattato dall’Excelsior di Venezia che allora era uno dei 7 alberghi più importanti del mondo. Non potei rifiutare e, pensa un po’ anche quell’anno mi ero qualificato per un’altra finale nazionale di Judo dopo aver vinto i regionali e questa finale si disputava a Castelfranco Veneto, proprio vicino a Venezia. Accettai la proposta dell’Excelsior e mii ritrovai a 17 anni in una cucina con 50 cuochi in un periodo in cui per uno del sud non era molto facile inserirsi, specialmente in Veneto c’era molta discriminazione, ma io misi il mio judogi nella borsa e nel poco tempo libero mi continuavo ad allenare. Trovai un Maestro speciale, italiano ma vissuto tanti anni in Brasile, non vedente, dal quale mi presentai dicendo che avevo avuto il passa per la finale ma non ero sicuro se gareggiare o meno perchè il lavoro mi impegnava troppo lui mi disse che ero loro ospite in palestra per tutto il tempo che avrei voluto. Era una persona unica, ci riconosceva tutti da come entravamo in palestra ed era fortissimo nella lotta a terra proprio per questa sua sensibilità sviluppata. Ogni volta che ci allenavamo insieme mi diceva che avevo la tempra del guerriero ma alla fine, purtroppo, non riuscivo mai ad allenarmi per come avrei voluto perché il lavoro era troppo faticoso, pensa Sara che all’epoca avevamo nelle cucine avevamo 12 forni in linea sotto e tutte griglie a carbone dietro, ti lascio immaginare che cosa respiravamo, facevamo 700 coperti alla carta. E’ stato stancante ma quella formazione per me, non solo è stata fondamentale dal punto di vista tecnico, ma è stato un biglietto da visita importante, un passe-partout  universale. Da lì infatti andai a lavorare, prima a Cortina, appena rientrato dal servizio militare, e poi al Cala di Volpe in Costa Smeralda, proprietà dell’Aga Khan, dove ho visto cose che nella mia vita non rivedrò mai più, ti dico solo che ero in servizio per 75esimo compleanno del Principe e ti lascio immaginare a che cosa abbiamo assistito.

Ma hai sempre continuato a praticare Judo?
No in quel periodo ho dovuto mollare perché spesso mi facevo male e non potevo rischiare il lavoro in ambienti del genere. Ho trovato tanti Maestri, anche in cucina, che hanno investito su di me e quindi presentarsi con un dito rotto per l’allenamento di Judo non era assolutamente contemplato. Onestamente ho sempre avuto il rimpianto per quei campionati nazionali, anche perchè avevo realmente buone possibilità di vincerlo ma per quella scelta di lavoro avevo in qualche modo abbandonato i miei “sogni”.

Alla fine perchè sei tornato a Martina Franca?
Dopo tanti anni a bordo delle navi da crociera, ho iniziato a sentire il desiderio di ritornare a casa. Nel frattempo mi fidanzai con Rosa, ora mia moglie, la mia compagna di una vita e anche una spalla nello studio e nella pratica del Taijiquan. Era giunto il momento di “capire” cosa fare nella vita, sentivo la necessità di coltivare e costruire le mie passioni, tra cui quella delle arti marziali che avevo, come ti ho detto, abbandonato ma non senza che questo fosse un peso. Devo dire che per molti anni è stato un mio cruccio, perchè era una cosa in cui credevo profondamente, tanto da essermela sempre portata dietro, fino a quando non l’ho realizzata con il Taijiquan.

E a Martina Franca cos’hai realizzato?
Vedi io sono sempre stato caratterizzato da una ricerca costante, in tutti gli ambiti in cui mi sia affacciato, non riuscivo a stare fermo! A Martina ho aperto bar, pasticcerie, ristoranti, gastronomie, ma era una realtà che mi stava stretta nonostante le attività funzionassero. Non mi posso scordare del bar che gestivamo: io venivo dalla fresca esperienza milanese dell’ Antica Locanda Solferino in cui venivano tutti gli artisti i personaggi della Milano bene, lì avevo imparato la ricetta del tiramisù (avevo “rubato” a ricetta ad una signora che lavorava lì) e quando l’ho portato a Martina abbiamo sbancato con quel tiramisù e le crostate di frutta fresca che nessuno faceva. Tutto è andato bene finche sui Pavesini non hanno iniziato a mettere la ricetta del tiramisù e quindi le persone hanno iniziato a farselo in casa da soli (…sorride..) e oltre a questo c’è da dire che io non avevo già più intenzione di spendere la mia intera vita stando 14 ore al giorno in pasticceria, sentivo la necessità di riprendere in mano le mie passioni, quindi abbiamo venduto il bar. Da lì abbiamo passato vari momenti, abbiamo attraversato periodi di crisi, di ristrettezze economiche durante i quali comunque abbiamo comunque deciso di “mettere su famiglia” e fermarci a Martina Franca.

Ma il Taijiquan quando è arrivato nella tua vita e come?
E’ stato nel 1989, due anni dopo il nostro matrimonio. Come ti ho detto era un periodo un po’ particolare per noi ma, come sempre, invece di fermarmi e arrendermi, continuavo a cercare nuovi stimoli. Avevo chiuso il ristorante e lavoravo nella mensa dell’ospedale mentre in estate andavo a fare le stagioni fuori, avevo ripreso anche il Judo e mi ero riqualificato per delle finali a squadre a Roma che però non andarono bene e mi fecero capire che avevo perso qualcosa, mi ero chiuso, non riuscivo ad esprimermi e così decisi che avrei dovuto cercare ancora in altri ambiti qualcosa che mi potesse sbloccare, fu allora che vidi una locandina di questo seminario di Taijiquan che però era riservato solo a medici, fisioterapisti e insegnanti, da parte di un’insegnante di Roma e quando andai a chiedere informazioni mi disse che non avrei potuto partecipare. L’anno dopo la stessa insegnante fece di nuovo il corso questa volta però aperto e da quel momento lei iniziò a seguirmi perché aveva visto la mia passione. Capii subito che questa disciplina aveva qualcosa che mi sarebbe potuto servire per crescere e mi affidai a questa insegnante che tra l’altro era pure psicologa e aveva la capacità di instillare fiducia nelle persone che le si avvicinavano. Ogni mese andavo a Roma a studiare con lei che all’inizio faceva stile Yang ma poi cambiò andando a studiare stile Chen e invitando i più grandi rappresentanti cinesi dello stile, con i quali io stesso ho potuto studiare e praticare. Fu allora che iniziai anche la Medicina Tradizionale Cinese, ogni volta che andavo a Roma, facevo Taijiquan e studiavo Agopuntura e Tuina.
Nel tempo però iniziavo a soffrire della chiusura e della rigidità che c’era in quella scuola e mi ritrovai ad essere il punto di rottura quando mi allontanai improvvisamente perchè avevo necessità di ricercare continuamente.

Come hai incontrato il Maestro Pace?
Anche questa è una storia strana, fatta di incontri e “coincidenze”.
Ero ad uno stage a Lamoli del Maestro Chen Xiao Wang ed ho incontrato un certo Nicolò di Catania che faceva arti marziali e durante una chiacchierata nella pausa pranzo mi disse che dovevo in tutti i modi conoscere questo Gianfranco Pace che a suo dire non aveva niente da invidiare ai cinesi. Noi chiaramente ci sentivamo di stare con uno dei massimi esponenti del Taiji in tutto il mondo (il Maestro Chen Xiao Wang), anche se, secondo me il Maestro in Italia insegnava quello che la scuola di Roma richiedeva, un lavoro spoglio dei principi e molto schematico, più fruibile da parte degli utenti che avevano un target di età più alto.
Nel momento registrai nella mente il nome del Maestro Pace e andai avanti fino a quando per varie vicissitudini più personali che altro decisi di prendermi un pausa dalla scuola di Roma, e in quel momento mi ricordai delle parole di Nicolò…Pensa che all’epoca non c’era internet come oggi, ma, anche quella volta non mi arresi e andai a cercare il questo Maestro Pace per potermi confrontare con lui. Quell’anno non andai in Corsica a fare la stagione ma decisi di andare in Sicilia a lvorare per l’estate. Per la precisione presi servizio a Kastalia vicino a Ragusa dove seppi che faceva lezione un allievo diretto del Maestro Pace, Davide Migliorisi che chiamai senza però riuscire a rintracciarlo e alla fine riuscii a contattare il Maestro Pace che mi invitò senza problemi ad allenarmi con lui ogni giovedì pomeriggio. Io finivo il servizio alle 13 e partivo in auto per 2 ore fino a Massannunziata (allora il maestro non aveva ancora la sede centrale che oggi ci invidia tutto il mondo, ma si allenava in una palestrina dentro un garage…), mi allenavo, cenavamo e la notte me ne ritornavo a Ragausa non prima delle 4 del mattino e alle 6,30 riprendevo servizio. E’ stata anche quella un’esperienza importante, fatta di sacrifici per 2 estati di seguito ma ricca di nutrimento, pratica e amicizia, così come è nella natura del Maestro Pace e dell’ITKA tutta. Da allora sono rimasto con lui, mi sono impegnato a diffondere il suo metodo e ho adesso, insieme ad altri 6 miei compagni fratelli di pratica di essere tra i 7 commissari tecnici ITKA che diffondono nel mondo gli insegnamenti del Maestro.

 Hai fatto una vita di Ricerca Michele, nelle arti marziali come nella cucina.
Mi sono sempre chiesto quale fosse il punto in comune tra queste due passioni e alla fine penso di averlo trovato: io devo NUTRIRE le persone. Viene da se quando si pensa alla cucina ma anche lì non è detto, io ricerco perché il cibo è tanto nutriente per quanto buono e sano è, deve nutrire anima corpo e cuore, e il Taijiquan è lo stesso. Quando sono andato in Cina a studiare con il figlio di Chen Xiao Wang, lui mi preparava da mangiare, cucinava per me, e mi sono reso conto che questo era un rito, i Maestri devono cucinare per gli allievi, devono nutrire e curare chi si affida a te. Questo era il nesso tra le mie passioni, la necessità di nutrire, di stimolare il corpo la mente e lo spirito e cucina e taijiquan sono senz’altro questo.

Sara Ferranti

 

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