Diciamoci la verità. Ce l’eravamo immaginata un po’ diversa, questa fase 2. Più gioiosa e spensierata, pur nella consapevolezza che con il virus non si scherza. Invece ci resta il sapore amaro del cotone impiastricciato delle mascherine, l’odore di una primavera asettica filtrata dai dispositivi di protezione individuale, che poi non è mica vero che sono così facili da trovare: Marco Mensurati e Fabio Tonacci ci spiegano perché, tra ritardi e speculazioni, le mascherine da 50 centesimi promesse dal governo siano ancora merce rara, costringendo milioni di italiani ad arrangiarsi come possono, tra fazzoletti, pashmine, pezzi di stoffa, a meno di non voler investire qualche decina di euro nell’acquisto delle famose Ffp2 o Ffp3.
Non è un dramma, questo delle mascherine, ma il sintomo di una ripartenza più complicata del previsto. Sarà anche che la predisposizione d’animo non è delle migliori, perché dopo due mesi di clausura ci vuole tempo anche a riabituarsi agli spazi, al contatto umano che potrebbe trasformarsi in contagio, al mondo ancora inospitale popolato dal virus invisibile.E’ quella sensazione di paura della libertà che ha spinto molte persone a continuare nell’autoreclusione, senza affollare luoghi e mezzi pubblici perché la casa è ancora il luogo più sicuro.
E poi ormai abbiamo le nostre abitudini, i nostri riti domestici. Anche la colonna sonora, o come si dice adesso, “playlist”. Ve lo ricordate voi il Festival di Sanremo? Sembra un secolo fa) e, a sorpresa, l’inno nazionale di Mameli. Ma l’Italia, ancora, non s’è desta.