Assume quasi il tono di una sfida fare un’intervista ad un artista come Francesco Checco Tonti, la cui attività artistica è nata più di vent’anni fa, sia per la vastità dei suoi interessi, sia per la straordinaria varietà di risultati da lui raggiunti in questi suoi fecondi anni.
Francesco, classe 79, muove i primi passi nello spettacolo all’età di sei anni. Nel ’98 frequenta alcuni stages promossi da Santarcangelo dei Teatri studiando con Silvio Castiglioni, Davide Iodice, Bano Ferrari, Chiara Reggiani, Aldo Vivoda, Claudio Cremonesi. A diciannove anni ha la prima esperienza professionale in Italia e Germania. Partecipa al laboratorio sull’ Enrico V di Pippo Del Bono prendendo parte alla messa in scena dello stesso spettacolo. Si diploma presso la scuola di teatro di Bologna Galante Garrone nel 2002 con il massimo dei voti
La passione è tanto nella vita. Quando una cosa ti prende l’anima poi è impossibile lasciarla andare. Attore, giocoliere, clown, soprattutto un vero amante della messa in scena. Quello che si fa nelle piazze, dai cosiddetti ‘artisti di strada’, ma anche quello che va in scena nei teatri, semplicemente un curioso e instancabile attore.
Checco, quando è iniziato tutto?
Sono passati tanti anni. Lo spettacolo non è per me una passione. E’ molto di più. Una vocazione. Da bambino ho sentito una spinta irrefrenabile verso questo mondo, con determinazione ho deciso cosa avrei voluto per la mia vita. Frequentavo le scuole elementari. Da quel giorno ho investito tutte le mie energie verso questo obiettivo: diventare attore. E’ andata bene. Nel percorso ho sviluppato anche altre competenze, come la giocoleria.
Quando si è avvicinato al mondo della giocoleria?
Nel 1998. Avevo iniziato a frequentare un corso al Centro Giovani Casa Pomposa a Rimini, diretto dal Circolino. I due insegnanti da cui ho imparato ‘a far girare le palline’ si chiamano Riccardo Maneglia e Andrea Rastelli. Quest’ultimo mi insegnò anche ad andare sui trampoli. Da quel corso si è accesa la fiamma della giocoleria e così ho iniziato a vedere filmati, ho partecipato ad alcune convention e frequentato altri corsi. Con il passare del tempo questa attività mi ha catturato talmente tanto che mi ci dedicavo di continuo. Prendevo il mio zaino con gli attrezzi e andavo ad allenarmi tutti i pomeriggi sotto i portici di piazza Cavour, con costanza. Era la mia palestra all’aperto. Ad un certo punto però ho sentito che per superare il limite a cui ero arrivato sarebbero servite molte più ore e molta più dedizione. Lì mi sono fermato. Ho sempre saputo di non essere un giocoliere puro. Avrei dovuto dedicare tutta la mia energia solo a quello, cosa che non faceva per me. Oggi uso ancora la giocoleria nei miei spettacoli, mi diverto ad affinare le cose che conosco e riscopro il piacere di allenarmi in coppia col mio nuovo collega, Alex Vignoto, con cui studiamo principalmente giocoleria a tempo di musica, creando performance nuove.
Infatti tu non sei solo un giocoliere, sei tanto altro…
Esatto, io non mi dedico completamente a questa pratica. Per me questa tecnica, che amo e che mi diverte, fa parte di una poetica più ampia.
Pensi che la giocoleria attiri i giovani?
Certo, piace molto ai giovani. Ho avuto tanti allievi di giocoleria e molti cominciano proprio da ragazzini. Inizialmente è accessibile a tutti poi, come dicevamo prima, l’allenamento diventa più impegnativo per cui non tutti hanno la costanza e la pazienza di continuare.
Uno dei tuoi migliori personaggi, è il clown… parlaci di questo.
Amo tante diverse sfumature del teatro e dello spettacolo ma il clown è la figura che ho studiato di più, con cui ho fatto più spettacoli e, soprattutto, che mi ha cambiato la visione della vita. La giocoleria è una tecnica, il clown è uno spirito che si può conoscere e sperimentare attraverso uno studio che va in profondità. Una volta che conosci il clown è difficile abbandonarlo perché ti modifica in profondità. Ti aiuta a cambiare il modo di osservare le cose. Lo frequento sulla scena con i miei spettacolo e ne insegno la tecnica secondo il metodo Lecoq. Ognuno di noi ha un grande potenziale comico. Per citare proprio Lecoq potremmo dire: “Siamo tutti dei clown, crediamo tutti di essere belli, intelligenti e forti, mentre ognuno di noi ha le sue debolezze, i lati ridicoli che, rivelandosi, provocano il riso”. Il clown è il nostro bambino interiore che ci insegna a ridere di noi e il percorso di ricerca porta a smantellare tutte le resistenze che abbiamo creato da adulti. Con il clown impariamo ciò che sapevamo fare da piccoli: giocare con purezza, sperimentare in libertà, essere leggeri. Il Clown consente di fare autoironia, di ridere dei propri difetti, problemi e paure. Quindi non c’è chi è più portato o meno a fare il Clown, ma c’è chi è più disposto di altri a mettersi in discussione per diventare meno rigido“.
La clowneria è una forma di terapia?
È risaputo che ridere fa bene, innalza le difese immunitarie e può aiutare nel processo di guarigione. Ridere aiuta a mollare tensioni e pensieri brutti. Ridere è un grande toccasana per il corpo e per la mente, lo dimostrano studi scientifici. Quindi si, in questo senso anche la clowneria può essere una grande terapia.
Cosa ne pensi del periodo difficile che stiamo attraversando?
“Qualcosa di ben più grande di noi ci ha costretti a fermarci. È un’ottima occasione per fare silenzio e ascoltarci in profondità. Ogni crisi è un’occasione per superare dei limiti. Anche ora possiamo imparare, riflettendo sulla strada che stiamo percorrendo. Se usiamo il momento accettando quello che ci è capitato, possiamo solo crescere. Combattere, cercare soluzioni, vivere quello che stiamo vivendo con l’illusione di poterlo controllare ci porta solo più ansia. Rilassarsi nella paura e accogliere la situazione è quello che faccio tutti i giorni. Vivendo di arte io in questa situazione ho grosse perdite economiche con prospettive buie. Tuttavia non serve a nulla né disperare, né preoccuparsi. Preferisco accettare e ascoltare, attivandomi in modo positivo e propositivo”
Prima dell’emergenza sanitaria stavi mettendo in scena tante cose, e ora, insieme a Francesco Cavalli stai dirigendo #artistidacasa. Come ti senti?
“Bene. Non riuscirei a immaginare la mia vita senza lo spettacolo. E anche ora, in piena emergenza, mi do da fare e cerco di produrre. Ho accolto subito l’idea di Francesco, caro amico, che mi ha chiesto di collaborare alla realizzazione di #artisti da casa, un programma che raccoglie i contributi degli artisti realizzati con lo smartphone da casa propria. Un modo per sentirsi vicini anche se distanti. È andato in onda per la prima volta giovedì 19 marzo su IcaroTV (Canale 91). Ogni martedì c’è la replica. Giovedì prossimo, il 9 aprile alle 22, andrà in onda la quarta puntata”
Sara Ferranti
Ph: Marco Montanari