Piano piano ci si fa il callo

Lo abbiamo detto e lo avrete letto mille volte, il Cammino. di Santiago è diverso da tutto quello che avete provato nella vita. Sottoscrivo e firmo con il sangue, eppure, in questa parentesi strampalata di viaggio, succede una cosa davvero inaspettata. Ci si abitua IMMEDIATAMENTE.

I primi giorni ci si sente sicuramente spaesati, ma forse davvero si tratta delle prime quarantotto ore, poi il cammino diventa la dimensione perfetta.

No so bene cosa scatti nel cervello e nel corpo, ma so che fin dal terzo giorno mi sembrava di camminare da mesi e mi sembrava di essere nata per quello. Già dopo pochi chilometri era come se avessimo fatto tutti gli scout da bambini, anche io che invece non so distinguere una pietra da una pigna.

Mi muovevo bene nella mia nuova veste di pellegrina, mi sentivo a mio agio con i ritmi e gli spazi, avevo sempre più dimestichezza con i linguaggi e gli strumenti del camminare. Guardavo la mappa con familiarità diversa e con la stessa sicurezza l’abbandonavo per seguire il passo in autonomia: parlavo sempre di più con gli sconosciuti che incontravo sulla strada senza riserve o imbarazzi.

E Ale ne è l’esempio!

Immagazzinavo informazioni e dritte sulle tappe successive o sui tratti da non perdere da chi magari aveva già percorso il nostro stesso itinerario, senza distrarmi, senza perdermi.

Il Cammino mi ha insegnato subito a concentrarmi e a lasciarmi andare, a focalizzare il punto d’arrivo e dimenticarlo insieme. A prepararmi alla meta e a non pensarci mai. Prima l’elemento fisico: incredibile come il corpo umano sia una macchina perfetta. Ce ne accorgiamo sicuramente meglio nelle situazioni di emergenza o di disagio. Ecco, nel mio bollettino medico io vanto poche vesciche, in compenso ho avuto una tendinite (o forse aveva un altro nome) che mi sono portata dietro per più di un mese dopo il mio rientro (c’è chi diceva che avevo una caviglia come una zampogna….).

Ora guardate le vostre estremità, c’è il tallone, la rientranza più sottile del collo del piede, poi la gamba si allarga sul polpaccio. Ecco: per me le proporzioni erano invertite: tallone, un gonfiore impressionante sulla caviglia che la faceva sporgere come un salvagente e poi più snello e slanciato il polpaccio….e non è più un polpaccio comunque, quello già allenato di una pellegrina.

Cosa significa quando la tendinite arriva nel mezzo di un cammino? Che le scarpe spesso non ti entrano o che magari il bordo posteriore preme esattamente sul gonfiore. provocando fitte lancinanti che rendono impossibile il passo. O che, com’è successo a me, che la caviglia sia troppo gonfia anche per piegare la gamba, camminando. Tendinite e veschiche sono il peggior incubo del pellegrino: immaginatevi di rubare una macchina al taxista, che poi non può più lavorare.

Improvvisamente l’unico strumento di lavoro, l’unica arma diventa inutilizzabile e la frustrazione si impossessa di tutto. C’è chi si ferma, chi si affida alle cure dei medici spagnoli che sono sempre molto disponibili nei confronti dei camminatori, chi si imbottisce di antidolorifici e antinfiammatori e va avanti come se nulla fosse. Indovinate.

Bravissimi! La terza ipotesi, cioè quella più scema, è ovviamente quella che ho scelto io, ma certo con qualche accorgimento. Integratori e medicinali sono fondamentali perchè vi aiutano a rimettervi in sesto, non sottovalutate che la fatica debilita un pò il corpo ma anche che l’allenamento e l’esercizio lo rafforzano. E curate le veschiche, in modo da evitare infezioni altrimenti si passa dalla padella alla brace e poi al volo anticipato per l’Italia senza passare a salutare Santiago. La mia salvezza è stata “la fortuna” ed il mio medico curante, Stefano che dall’Italia mi ha dato qualche consiglio e poi una crema e mi ha detto di prega, stringere i denti e cercare di arrivare. Ale, ricordo come fosse ieri, una sera mi ha mandato un audio in cui me ne diceva di tutti i colori. Io facevo spallucce ma aveva ragione!

Una soluzione comunque si trova sempre e le persone che si incontrano sono meravigliose: probabilmente non lo saranno per il resto dell’anno ma il cammino tira fuori davvero il meglio da tutti.

Una volta capito quale sia il disagio e come curarlo, non resta che andare avanti, e intendo questo quando dico che prima o poi ci si fa il callo.

Sara

 

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