Il Cammino di Santiago è un lungo e Santo pellegrinaggio che ognuno percorre dentro e fuori se stesso. Un turbinio di emozioni, sensazioni, riflessioni, gioie, incertezze e paure che, passo dopo passo, vengono impresse nella mente e nel cuore.
Nonostante io sia una giornalista mai ho scritto del mio Cammino, durato diverse settimane, in cui ho percorso 800km dai Pirenei fino Santiago de Compostela. Questa è la prima volta che condivido, totalmente con qualcuno, ciò che ho tenuto gelosamente custodito per tutti questi mesi
In realtà non è proprio vero. C’è una persona a cui ho raccontato, singhiozzando, le mie emozioni e a cui ho appoggiato le mie incertezze e fragilità sul palmo della sua mano: Alessio, un ragazzo toscano. Non so cosa mi abbia spinta ad aprirmi totalmente con lui, non so cosa mi abbia così colpito tanto da togliermi quella maschera di sofferenza e rendermi trasparente. Non so se è stata la sua intelligenza, il suo modo di fare, l’attenzione, lo sguardo sincero, quel sorriso bellissimo oppure se è stata la luce che emanava. Eppure di una cosa sono certa: mai mi ero sentita così serena ed abbandonata in vita mia.
E la cosa ancor più strana è che questo uomo, non era un mio amico di vecchia data ma un pellegrino come tanti che ho avuto la fortuna di incrociare il terzo giorno di cammino ad Estella.
Solo su “una stella” avrei potuto incontrarlo, perché le sensazioni che ho provato in quell’istante mai mi erano appartenute in una vita intera.
Questo vortice di sentimenti contrastanti mi confondeva, ma se c’era una frase che mi rimbombava dentro come un tuono erano proprio le parole del Piccolo Principe “È una follia odiare tutte le rose perché una spina ti ha punto, abbandonare tutti i sogni perché uno di loro non si è realizzato, rinunciare a tutti i tentativi perché uno è fallito.”
Io lo so perché sono partita.
A febbraio, dopo una trombosi celebrale in cui non solo ho rischiato di rimanere totalmente paralizzata ma persino di morire, dopo che ho capito quanto la nostra vita è appesa ad un filo, ho promesso che se mai avessi camminato di nuovo, sarei partita per il Cammino di Santiago. Subito dopo la mia totale guarigione, inoltre, ho saputo di una grave malattia di mia madre. A quel punto, sono stata costretta a guardarmi sinceramente dentro, e chiedermi che direzione avrei voluto prendere.
Sono stati mesi duri, durissimi. Uscivo da una lunga e importante storia che non aveva più senso e mi aveva tolto tutto. Energie, amore, sogni, spensieratezza, fiducia in me stessa. Era difficile, mi spaventava, mi mancava il respiro quando pensavo di chiudere con l’uomo con cui avevo condiviso un percorso così articolato, ma dovevo farlo e sentivo il bisogno di andare avanti per cercare risposte che mi aiutassero a comprendere il senso del dolore che stavo provando.
Così mi sono detta che era ora di mantenere la mia promessa. Era agosto: la data prescelta il 26. Ho acquistato i biglietti, andata e ritorno ma, per una serie di eventi davvero rocamboleschi sono stata costretta a disdire ed anticipare la partenza al 9 agosto. Nonostante in questo modo avrei perso i soldi del viaggio, sentivo qualcosa che mi spingeva a continuare. Mai avrei pensato che, questo, mi avrebbe condotta dove sono ora.
La mattina della partenza sono uscita di casa molto presto, avevo passato la notte completamente in bianco. Era da poco sorta l’alba quando il mio caro amico Andrea mi ha accompagnata all’aeroporto. Quanti pensieri, in quell’ora di autostrada…. Poi un aereo, un bus, due treni presi al volo, un passaggio di fortuna per arrivare all’ostello in piena notte, sotto il diluvio. Una giornata intera di transiti. Arrivi, partenze, coincidenze. Dentro, un turbine di emozioni, sensazioni, pensieri contrastanti. La voglia di arrivare, la paura di non essere all’altezza. Eppure, l’assoluta certezza di essere nel posto giusto al momento giusto. E intanto la Francia mi scorreva davanti…
Ricordo ogni minimo secondo di tutto il viaggio, ma quel 10 agosto, il primo vero giorno del cammino, sono certa che anche tra 40 anni lo ricorderò con la nitidezza di oggi.
Non si era ancora fatta mattina quando sono uscita dall’ostello.
Non ero in pace. Non stavo bene. Ero impaurita, incerta, “ma chi cazzo te l’ha fatto fare?” mi chiedevo.
Continuava a piovere a dirotto, sono entrata in una Chiesa, avevo freddo. Guardavo l’altare e piangevo. Dio quanto ho pianto.
Poi ho preso coraggio e sono uscita. Zaino in spalla, conchiglia in mano, una preghiera. Lungo la strada, come me, tantissimi pellegrini. “Hola, buen camino”. Mi salutavano tutti, mi sorridevano. Non ci conoscevamo, è vero, ma non ne avevamo bisogno. Bastava il Cammino ad unirci. E’ un pellegrinaggio, questo, che si compie in solitaria, ognuno coi suoi demoni, ognuno coi suoi ringraziamenti, ognuno con i suoi doni. Ma in realtà, lungo il Cammino di Santiago, non si è mai veramente soli.
Ho passato giorni bellissimi, in cui ho pregato, canticchiato tra me e me, assaporato paesaggi meravigliosi, continuato a sentire costantemente Ale , il ragazzo toscano. Telefonato a casa per rassicurare che stavo bene. Mi guardavo intorno con la meraviglia di una bambina ma anche con la consapevolezza di una donna che ciò che stavo vivendo, era un grande Privilegio.
Ho passato anche giorni infernali cercando una via d’uscita per resettare un percorso. Neri, pieni di sensi di colpa, stancanti, in cui non facevo altro che piangere e disperarmi. Giorni in cui non avevo per niente fame dalla stanchezza, ma ne avevo comunque tanta dalla fatica. Giorni con caviglie gonfie, sudore, irritazioni, vesciche. Giorni di certezze ed incertezze, giorni bui e giorni soleggiati, giorni di salite, discese, tratti difficili ed altri mozzafiato.
Giorni in cui ti misuri solo con te stessa, con la tua resistenza fisica e mentale, con il senso di vuoto, di abbandono e con quello di comunità che respiri per tutto il tragitto. E questa è la più grande metafora della vita. Non ci sono viaggi e non ci sono vite senza dolore, fatica e sacrificio. In più, se hai fede, sai che puoi non avere paura di niente. Gli uccellini trovano sempre cibo e i fiori sono vestiti meglio di Salomone.
Ho scelto di fare un cammino religioso, per ritrovarmi e ritrovare ciò che negli anni passati avevo perso: la fede e la luce.
Quello che chiedevo era che il mio dolore potessi offrirlo. Ciò che desideravo più di ogni altra cosa era percorrere una strada illuminata e smettere di barcollare nel buio.
E quell’incontro con Alessio mi ha cambiato totalmente la vita.
Non ho fatto il cammino insieme a lui, non gli avrei dato il meglio di me, avevo troppi nodi da sciogliere e troppe situazioni da sistemare, e lui, invece, il meglio se lo merita da qualunque persona passi nella sua vita.
Avevo bisogno, prima di tutto, di fare i conti con me stessa e stare sola, ma nonostante questo, anche se gli amici più stretti a cui l’avevo confidato mi dicevano di lasciar perdere, sapevo, dalla prima volta che mi si è avvicinato al balcone di quel bar, che i nostri destini si sarebbero incrociati e che niente li avrebbe più divisi.
Ci sono anime che si legano insieme lungo il cammino in maniera indissolubile senza capire l’esatto momento in cui sia successo.
Ho pensato a lui ogni momento, ogni passo, ogni alba ed ogni tramonto e sapevo che l’avrei rivisto in Italia. Perché era scritto.
Come era scritto che proprio a Pistoia, dov’è nato e cresciuto, avrei trovato una reliquia di San Giacomo custodita nel bellissimo Duomo e che, proprio qualche giorno dopo l’aver deciso di rimanerci in pianta stabile in Toscana, è stato inaugurato il primo Cippo d’Italia che ha arricchito ulteriormente di un simbolo la città: il cippo è stato donato dalla Xunta de Galicia, in collaborazione con Concello de Santiago e Xacobeo 2021. Grazie all’amicizia della città di Santiago di Compostela, con cui Pistoia dal 1145 è strettamente legata in nome del culto di San Jacopo, la città si è rilanciata come crocevia degli antichi cammini europei.
Sono stata alla conferenza stampa in onore dell’inaugurazione del Cippo insieme ad una mia cara amica e collega Irene. Sono una giornalista, non potevo non farlo e la domanda che più mi risuonava era:
Perché si diventa pellegrini?
Non lo so.
Lo si diventa e basta. Per tante ragioni: per credo religioso, per sfida con se stessi, per chiedere la mano alla propria fidanzata, per ritrovarsi, per tentare di lasciarsi alle spalle delusioni o anni carichi di amarezze. A volte invece lo si fa per speranza che il futuro possa essere migliore e che si trovi in quei passi giornalieri e costanti la sua unica parola.
Ognuno ha sogni ed aspettative diverse, ma credo che il vero motivo per cui ci si mette in viaggio sia l’esigenza della libertà della nostra anima.
Io, a nuova vita, mi sento di esser rinata davvero. La mia Compostela è stata riempita, l’ultimo sello è stato impresso, il mio Cammino di Santiago si è concluso. E ora sono davvero felice . Perché, per quanto possa spaventare, ogni fine è sempre un nuovo inizio. Ed ogni inizio è sempre un nuovo viaggio, dentro e fuori se stessi.
Sara