??????? ????????, pistoiese DOC, pratica ???? ???????? ?????? – ????? ???? ? ?? ???? – dal 1999 ed ha iniziato ad insegnare queste discipline dal 2004.
Da undici anni è allievo diretto del ??????? ?????????? ???? che da agosto 2019 gli ha conferito la nomina di ??????????? ??????? per rappresentare, insieme ad altri sei Maestri, la ?????? ???? nel ?????.
E’ responsabile ITKA della regione Toscana e nel 2015 ha fondato la ?????? ?? ???? ???????? “?.?.?. ??????? ????”con il desiderio di diffondere nel proprio territorio la pratica del Taijiquan e i benefici personali che ne possono derivare.
Il suo intento è quello di rendere fruibile nella vita di tutti i giorni il lavoro del ????? ???? in cui si insegna ad affrontare in maniera rilasciata ma determinata i conflitti che quotidianamente ci si pongono davanti.
Questo seguendo l’insegnamento cardine che il suo Maestro riassume in due semplice parole: “funziona o non funziona?”.
Tra le varie aree di interesse proposte nella scuola, il Taiji Quan classico (forme a mani nude, forme con armi e Tui shou) , il Qi Gong/Nei Gong e il lavoro con i giovani (Kung Fu di Chenjiagou) sono le strade che predilige per realizzare il proprio intento.
Per questo ????????, ??????? ? ????????? continuo sono le parole che definiscono maggiormente il suo lavoro come ?????????????? ????.
Alessio, quando e come ti sei avvicinato alle arti marziali?
Quando? Avevo appena 7 anni. Come? In un modo un po’ insolito.
Il pomeriggio, dopo aver fatto i compiti, mi sedevo sul divano a guardare i cartoni animati.
I miei preferiti erano Judo boy, Hong Kong Phooey e Ken il Guerriero. Volevo a tutti i costi praticare arti marziali specialmente Kung fu , ma all’epoca, a Pistoia c’era solamente una scuola di Judo. Oggi sorrido pensando a mio nonno che era un bravissimo falegname e continuamente stressavo perché volevo mi costruisse una spada. Ogni volta lui sorrideva alle mie richieste, sbuffava un po’, ma alla fine mi accontentava…In realtà, io volevo la spada giapponese (la Katana) ma lui invece, nonostante le mie descrizioni “accurate”, ogni volta mi fabbricava una spada a doppio taglio, una Jian, proprio la spada cinese, con il paramano piccolo e la punta sottile (io all’epoca non sapevo la differenza tra le due spade).
Ovviamente anche mio nonno non era al corrente, ma quello che non concepiva, da vero artigiano, era che una vera spada potesse avere un solo tagliente! E così, a mia insaputa, il mio caro nonno mi stava “iniziando” all’Arte che sarebbe stata la mia vita!
Nel frattempo, gli anni passavano, gli impegni scolastici e sportivi aumentavano sempre più: mi ritrovai a 9 anni a praticare judo, suonare il pianoforte, con i rientri pomeridiani a scuola, il catechismo e pure a calcio.
A malincuore, decisi di accantonare le arti marziali e continuare il calcio insieme i miei amici.
In realtà non ero di certo il migliore a giocare a pallone, ma tanta era la mia passione e il desiderio di diventare un calciatore che continuai per diverso tempo finchè , a 17 anni, quando ero arrivato ad essere un giocatore discreto, mi feci male. Ebbi uno stiramento all’inserzione del bicipite femorale, e smisi di giocare. Oggi posso dire che quella fu la svolta della mia vita, anche se allora vissi quell’infortunio come una vera e propria tragedia!
Ci misi diverso tempo per riprendermi, e il massaggiatore che mi seguiva mi consigliò di frequentare Yoga per recuperare al meglio ma soprattutto rilassarmi. Ed ora posso dire che aveva ragione, all’epoca ero molto nervoso e fumentino.
Iniziai a praticare e l’insegnante mi raccontò che aveva insegnato per diverso tempo sia Kung fu che Taijiquan.
Non mi pareva vero. Volevo da sempre praticare queste discipline cinesi e insistetti affinchè riprendesse il suo corso.
Dopo un paio d’anni si convinse, riaprì la scuola ed io iniziai ad allenarmi a Prato insieme a lui. Lo stile che insegnava era Kung fu della mantide religiosa, Taijiquan stile Shin Dae Wong e stile yang.
Ero davvero entusiasta, e mi appassionai talmente tanto che frequentavo la palestra almeno 4 – 5 volte la settimana
Dopo 3-4 anni iniziammo a studiare una derivazione dello stile Chen, con un Maestro Cino-Cubano, Salustino Z. Wong, una persona meravigliosa, un’altra di quelle anime che sono entrate nella mia vita cambiandola per sempre. Dopo qualche anno, per una serie di problemi personali, decisi di interrompere il rapporto con l’insegnante di Prato e cercai di capire che strada percorrere.
Avevo 30 anni, volevo iniziare a tirare le fila della mia vita e in un momento di totale rivoluzione, durante la quale avevo pensato anche di smettere di fare arti marziali, ho incontrato in Sicilia il maestro Gianfranco Pace. Da subito mi hanno colpito la sua disponibilità, la semplicità unite all’indiscutibile qualità marziale. Sono rimasto in qualche modo sorpreso e felice nel constatare che ci fosse un altro modo di fare e di vivere le arti marziali.
Ero molto provato dai dieci anni precedenti, ma lui, piano piano, è riuscito a conquistare sempre di più la mia fiducia e così, oltre ad essere entrato a far parte della sua scuola, mi sono legato in maniera forte al suo progetto ITKA, alla sua “Visione” della pratica di questa “meravigliosa arte del Taijiquan” (per citare la rubrica che il Maestro Pace tiene sui social).
Negli anni ho ricoperto ruoli sempre di maggiore responsabilità fino a divenire, ad agosto 2019 da membro della commissione tecnica ITKA aderendo in pieno alle sue filosofie.
Cos’è per te il taiji?
Per me è vita, la Vita. Non credo ci sia parola più adatta per descrivere ciò che penso.
Il Taijiquan è stato un modo, uno strumento per camminare in una via illuminata e che mi ha condotto, con tutti i suoi inciampi, ad essere felice, e con chi e dove sono ora.
Mi ha insegnato tanto, tantissimo. Da ragazzo ero molto agitato, a volte polemico, e non ascoltavo i miei tempi fisici e fisiologici e la cosa buffa è che ho scelto di sposare una filosofia che sembrava non essere nelle mie corde: il Taiji si pratica lentamente, ha bisogno di tempo per germogliare, di costanza, di assidua autocritica, di ascolto…ed io davvero non ero proprio abituato a questa modalità di vita.
Questo è stato un modo per mettermi sempre costantemente in gioco.
Le arti marziali sono uno strumento di rivoluzione perché insegnano dei principi che se venissero accettati ed applicati da tutti quanti darebbero origine ad una società completamente diversa da quella in cui viviamo: fatta di connessione e quindi compassione, nella sua forma etimologica più precisa e cioè don ”sentire con”, una società capace di un equilibrio, sì dinamico, ma senza oscillazioni sconvolgenti, in cui tutto segua il naturale movimento di espansione/contrazione.
Quali sono le caratteristiche e le qualità che contraddistinguono un grande maestro?
Un bravo maestro dovrebbe essere un ricercatore, un praticante assiduo, una persona umile ma autorevole, attenta ed accogliente, determinata e decisa. Un maestro, d’altronde, può insegnare soltanto ciò che egli stesso pratica. In ogni caso, occorre ricordarsi sempre che un maestro non dovrebbe essere altro che un facilitatore, un individuo che, prima dei suoi studenti, ha percorso un determinato sentiero impervio e, conoscendone le peculiari difficoltà, li accompagna indicandogli la via più consona e meno rischiosa. Sta poi al discente percorrerla con impegno, dedizione e, perché no, con entusiasmo.
Nei tuoi corsi, quanto influiscono gli aspetti marziali?
Tanto, attraverso gli aspetti marziali insegno i principi. Al giorno d’oggi lo scontro fisico ha una bassa percentuale rispetto ai conflitti emotivi.
Ciò che vorrei tramandare sono i principi della morbidezza, cedevolezza, del mantenere il proprio centro adattandosi, possedendo un’intenzione forte e determinata, diventando quindi capaci di fluire come acqua. Quello che vale all’esterno, deve valere anche all’interno.
In realtà, la domanda fondamentale sarebbe: “Cosa significa al giorno d’oggi la parola marziale? Ora la nostra vita non dipende più dalla nostra capacità marziale come nei tempi antichi. Oggi, quando si parla di conflitti ci si riferisce a quelli mentali, relazionali, personali. Quindi morbidi fuori, saldi all’interno, capaci di prendere lo spazio che ci spetta nella vita in maniera naturale e delicata, rimanendo sempre consci e determinati come un flusso d’acqua che dai monti arriverà al mare.
C’ è anche un aspetto sportivo in tutto questo?
Certamente. Fin da ragazzino sono sempre stato portato all’agonismo. Amavo lo sport, mi piaceva mettermi alla prova e competere con gli altri ma una volta finita la gara, anche se la perdevo, non ho mai fatto polemiche e tragedie. Questo è un aspetto che insegno sempre ai miei ragazzi: la capacità di rialzarsi. Attenzione, questo non vuol dire che partecipavo alle gare tanto per…Ho sempre cercato di fare del mio meglio per vincere, ma se questo non accadeva non disperavo ma cercavo di farmi un esame di coscienza e pensavo subito a come fare per migliorarmi.
Le maggiori soddisfazioni sportive?
Nel 2016 mi sono vestito della maglia della nazionale. La categoria in cui gareggiavo comprendeva atleti dai 18 ai 40 anni, ed io ne avevo 38. Eppure, sono stato selezionato come rappresentante dell’Italia nel Taijiquan tradizionale in Polonia. Ho portato a casa due medaglie d’argento: forma a mani nude e con la spada.
Ad un certo punto del tuo percorso hai deciso di diventare insegnante, cosa ha ispirato questa tua scelta?
In realtà, mi ci sono trovato. Ho studiato assiduamente, ho frequentato corsi, dato tanti esami. I titoli per poter insegnare li avevo conseguiti tutti, ma non ho mai pensato “da oggi divento un maestro”. Sicuramente l’esistenza dei miei allievi fa sì che io sia un maestro per loro ma questo ruolo è qualcosa che va oltre. E’ un ruolo molto importante perchè sei un esempio per loro e questo privilegio non si riceve o si cerca tramite diplomi, lo si accetta “semplicemente” dentro.
I tuoi allievi sono un insegnamento per te?
Si, lo sono continuamente. Sono certo di aver imparato tanto da loro, da ognuno di loro, giorno dopo giorno.
Potrebbe citare tre elementi chiave per essere un buon praticante di Taijiquan ?
C’è una distinzione tra essere un buon praticante e praticare un buon taiji.
Un buon praticante ha costanza, presenza e resilienza. E soprattutto si diverte mentre pratica.
Per praticare un buon livello di taiji serve conoscenza data dai maestri, tempo e assiduità.
Tu fai parte della scuola ITKA. Che cos’è? L’ITKA è un’associazione internazionale fondata dal Maestro Gianfranco Pace. E’ una prestigiosa scuola di Taijiquan stile Chen e la sua sede principale si trova a Catania. Non solo ne faccio parte da più di 10 anni, ma da agosto 2019 sono stato nominato uno dei sette rappresentanti nel mondo. dell’ITKA e questa è stata una soddisfazione grandissima per me. Il principio fondamentale della scuola si basa su accoglienza, duro lavoro e sincerità.
Mi sento davvero a casa quando pratico insieme a loro, perché questi aggettivi mi rispecchiano.
L’idea è di trasmettere i principi a più persone possibili, senza prendersi mai troppo sul serio, ma in maniera assolutamente corretta e leale.
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Ora, dopo più di 20 anni di pratica, l’essere diventato prima un maestro poi responsabile della regione toscana e membro della commissione tecnica dell’ITKA, ti senti realizzato nella tua vita personale e lavorativa?
La mia vita lavorativa e personale coincidono in tanti momenti perché in realtà non mi sembra mai di lavorare ma di coltivare continuamente la mia passione.
In questo ambito non ho particolari aspettative se non quella di riuscire a trasmettere gli insegnamenti del taiji a più persone possibili e in qualche modo “lasciare degli eredi”…
L’unico vero pensiero che ho per i miei ragazzi è quello di trovare una sede fisica per la nostra scuola, un luogo che possa diventare un punto di riferimento per loro e per le loro famiglie. Sono anni che la cerco ma purtroppo abbiamo sempre dovuto rinunciare per svariati motivi, spesso legati ai costi. Per quanto riguarda la mia vita privata sto molto bene, spero di poter invecchiare in salute e godermi delle belle passeggiate sulla spiaggia insieme alla mia compagna ascoltando il rumore del mare.
Sono estremamente felice di ciò che ho, ma non ancora al 100%, perché non credo di essere arrivato alla meta finale ma sento di potermi realizzare ancora, ogni giorno di più.
Sara Ferranti